Introduzione, vediamo le basi
In questo articolo vi parlerò sinteticamente di un comportamento estremamente comune nello studio di uno psicologo: il paziente che si ritrova a mentire allo psicologo, più o meno volutamente. Andremo a fare un breve excursus sulle modalità e sulle motivazioni sottostanti questo fenomeno (spoiler: non drammatico, ma limitante), andremo poi ad analizzare le conseguenze di ciò, e infine vi darò qualche spunto per evitare questa trappola, partendo non tanto dal dovere morale quanto da un interesse sincero.

Mentire allo psicologo… ma come, e perché?
Parliamoci chiaro: mentire allo psicologo è una dinamica frequente e, spesso, umanamente comprensibile. Le motivazioni possono essere molteplici, e non sempre consapevoli. Eccone alcune tra le più comuni:
- Evitare argomenti dolorosi
- Evitare fatti o pensieri imbarazzanti
- Stress nel dover ripetere tematiche o raccontare errori
- Paura di non essere accettati, compresi, o giudicati negativamente
- Timore di conseguenze legali
- Senso di colpa o vergogna per alcune scelte
- Volontà di manipolare l’immagine di sé
La bugia può arrivare come conseguenza di un meccanismo di difesa, come automatismo, o come strategia deliberata. Quale che sia l’origine, il suo impatto va oltre il momento in cui viene pronunciata.
Cosa succede se mentiamo allo psicologo?
Abbiamo visto come e perché si possa arrivare a mentire. Ma cosa succede dopo? Analizziamo la questione su tre livelli distinti:
1. Cosa accade al paziente
Dopo l’ansia preparatoria che accompagna la bugia (e che spesso precede anche solo l’idea di dirla), il paziente può provare un sollievo immediato. Ha evitato l’esposizione emotiva, ha “scansato” un momento difficile.
Ma questa tregua è temporanea. La bugia va mantenuta, ricordata, difesa. L’essere umano, per natura, tende a ricercare coerenza nel proprio racconto. E così la menzogna diventa un nodo: qualcosa che consuma energie cognitive e limita la libertà d’espressione. O, peggio, costringe il paziente a tradirsi – o a rivelare tutto, o a ignorare quella parte di sé. In ogni caso, la bugia diventa parte attiva della relazione terapeutica, e non sempre in modo utile.
2. Cosa accade allo psicologo
Francamente? Questo livello è secondario. Non è compito dello psicologo “smascherare” il paziente o trattarlo come un detective. Il terapeuta potrebbe accorgersi o meno della discrepanza, ma ciò che conta è come gestirà, in modo professionale e non giudicante, ciò che viene portato nel setting.
3. Cosa accade nella relazione terapeutica
Qui avviene il vero cortocircuito. La bugia crea una distorsione nel campo relazionale. Si forma una frattura tra ciò che è reale e ciò che viene narrato, generando un “binario parallelo” – proprio come nei film di Nolan.
Il paziente dovrà reggere due linee di realtà: quella autentica e quella costruita. Questa duplicazione richiede un costo cognitivo, alimenta l’ansia e rischia di ostacolare il cambiamento. La relazione si ingarbuglia e perde la sua funzione trasformativa. Fortunatamente, nel rapporto con lo psicologo, anche questa difficoltà può essere rielaborata.
Consigli per gestire la bugia allo psicologo
Le bugie sono quindi nefaste, seppur comprensibili e assolutamente umane. Come sempre, prevenire è meglio che curare, perciò cerchiamo di dare un’occhiata a come limitare questo fenomeno.
Ci sono diverse cose che possiamo fare per ridurre la loro efficiacia e i loro effetti negativi:
- Prova a riconoscere internamente la bugia quando vuole arrivare, quando emerge e cerca di capire perché sta arrivando. Che emozione la muove verso il comportamento? Quale fatto stiamo nascondendo con la bugia? Questo potrebbe essere difficile, vi avverto, e la soluzione in questi casi sta nel punto 3.
- Accettala per quello che è, non sei un mostro per avere mentito, non hai rotto niente. Lo psicologo non ce l’ha con te, né si arrabbierà, né ti caccerà per quella bugia. E lì, guardala negli occhi.
- (il più importante) Porta la bugia al tuo psicologo! Consegnala, porgila. Ebbene sì, non solo la possiamo accettare e riconoscere, la possiamo persino riconvertire, rielaborandola nella relazione terapeutica! In altre parole, farla diventare un mattoncino che va a inserirsi nel muro della casetta mentale che stiamo costruendo insieme. Hai mentito, è ok! Parliamone, e sapremo entrambi qualcosa in più su di te, sulla tua psiche, sul tuo funzionamento e soprattutto sulla tua direzione futura.
Aggiungo, come postilla, che la menzogna non è totalmente negativa, in assoluto. Tante persone nel corso della storia hanno mentito per ragioni di bene pubblico, con intenti nobili in mente, o al fine di proteggere i più deboli. Sotto certi aspetti, mentire è inevitabile e necessario al fine della propria integrità. O per usare la fantasia, strumento importantissimo per il benessere psichico di una persona.
Questo non ci esime tuttavia dal sapere cosa è giusto, e soprattutto dal volerlo perseguire, e dal fare passi pratici, azioni, per cercare di perseguirlo nella realtà.
Anche se mentiamo per scopi giusti, nobili, finiremo inevitabilmente per creare una nuova distorsione nel tessuto della nostra realtà psichica, e dobbiamo diventarne via via più consapevoli, anche con il necessario aiuto.
Ricapitolando…
Mentire allo psicologo non è un atto di malizia o debolezza, ma un segnale.
Un segnale che qualcosa fa paura, imbarazza o minaccia la nostra immagine di sé.
Tuttavia, le bugie in terapia consumano energia, distorcono la relazione, e ostacolano il cambiamento.
Ogni bugia va mantenuta, sostenuta, difesa… ed è molto più faticoso di quanto sembri.
La buona notizia? Possiamo lavorarci.
Riconoscerla, accettarla, e portarla nel dialogo terapeutico ci permette di trasformarla in comprensione e direzione.
Perché non si tratta di dire sempre la verità perfetta, ma di imparare a capire perché mentiamo, e scegliere di non farlo più quando è il momento giusto.
Nel posto giusto. Con la persona giusta.
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